Eolie Running Tour

Lipari

LIPARI

(Superficie: 37,6 Kmq)

Lipari, l’antica Meligunis, è l’isola maggiore dell’arcipelago, nota un giorno quale emporio dell’ossidiana e rinomata oggi come il massimo emporio della pomice. Lipari è l’isola più complessa dal punto di vista geologico e vulcanologico. La parte più antica è costituita da ruderi di strato-vulcanici che si trovavano ad occidente dell’isola e formano i Timponi, Monterosa, ecc. Dopo questo primo periodo di intense eruzioni segui una lunga sosta di attività vulcanica. Nel secondo periodo si ebbe lo strato-vulcano del Monte S. Angelo. I vulcani del terzo periodo hanno eruttato pomici e formato una serie di cupole, tra cui quella del Monte Giardina. L’attività riprese, dopo una lunga sosta, nella parte nord-orientale dando luogo a correnti laviche di ossidiana. Recenti datazioni hanno potuto stabilire che l’ultima eruzione del M. Pelato, con l’effusione della colata ossidianica delle Rocche Rosse, si verificò all’incirca nel 700 d.C.; questa eruzione ricoprì con un sottile strato di pomice le vestigia romane del IV e V secolo d.C., di contrada Diana e della Acropoli di Lipari

Le manifestazioni endogene, che si riscontrano, consistono in fumarole, solfatare e sorgenti termali. Le più importanti fumarole sono quelle di Bagnosecco; sorgenti termali sono state notate presso Bagnicello, alle Fontanelle, alle Pietre di Fuardo, ma le più importanti sono quelle di S. Calogero e quelle che sgorgano a valle di Castellaro e in prossimità del Porto (Pignataro). Le acque di S. Calogero sono state utilizzate per fini terapeutici da epoca immemorabile rivelandosi sempre di somma efficacia. Accanto alla sorgente s’innalzano una grotta sudatoria, la “stufa”, di costruzione romana oggi inglobata in uno stabilimento di bagni e di fanghi eretto nel 1867.

Durante i recenti lavori di ristrutturazione dello stabilimento termale è venuto alla luce, in prossimità dell’ingresso principale, un edificio a cupola inglobato in costruzioni successive. Si tratta di un monumento di architettura civile della civiltà micenea (Tholos) finora mai conosciuto in Occidente. La presenza nell’isola di Lipari di un edificio caratteristico della architettura micenea, risalente al XV secolo a.C., è un fatto eccezionale e di grande interesse storico. Questa scoperta della “Tholos” micenea conferma che per tutta l’età del bronzo, e cioè per tutto il corso del II millennio a.C., erano intercorsi intensi rapporti di cultura e di commercio fra la Grecia e le Isole Eolie. L’analisi delle acque venne eseguita, per la prima volta, dall’Arrosto nel 1872; successivamente dal Gabella (1907) e infine dall’Irrera e dal Labruto (1933). Questi ultimi le classificarono tra quelle ipertermali, salso- solfato-bicarbonato-sodiche con temperatura oscillante sui 60° C. Lipari per dolcezza di clima e serenità di cielo, d’inverno, si presenta come ideale stazione climatica e, d’estate, come ricercato soggiorno balneare e di porti nautici. Quest’isola è centro di escursioni indimenticabili per il fascino dei suoi paesaggi. Interessante l’escursione a Quattrocchi da dove si ammirano, tra una molteplice varietà di tinte, come in una visione di sogno, pittoresche insenature dalle coste alte e faraglioni dalle forme slanciate, che si riflettono sul mare. Sullo sfondo, con parvenze evanescenti, si leva, dalla distesa marina, la fumante Vulcano, che chiude l’incantevole spettacolo.

Consigliabile è l’ascensione al M. Pelato, da dove si osservano il Campo Bianco (immensa, strana voragine candida come la neve) e le colate di ossidiana di Sparanello e di Rocche Rosse. Anche interessante è l’ascensione alla frazione di Quattropani e alle coste di Mezzacaruso, (là dove i greci buttavano i neonati che nascevano con un difetto; in Grecia abbiamo anche dei timpani o punte che si chiamano cosi). Di alto interesse turistico è il giro in barca attorno a Lipari. Si succedono, l’un dopo l’altro, episodi pittorici che compongono un insieme di grande varietà e bellezza: profonde grotte, amene spiagge, alte coste, ampie baie, scogli traforati, piccoli seni ed erte, selvagge rupi. Il centro più importante è Lipari. L’abitato in parte si estende lungo le due pittoresche insenature di Marina Lunga e di Marina Corta e in parte è distribuito attorno al suo Castello (sec. XVI), l’antica acropoli della città greca e romana, che si erge maestoso, su alta roccia di lava liparitica, con titanici bastioni cinquecenteschi strapiombanti sul mare.

L’acropoli, denominata il Castello, costituisce ancora oggi il punto focale del centro storico, nel quale si conservano testimonianze del passato; entro il perimetro delle mura posero le loro sedi le popolazioni del neolitico, quelle della prima età dei metalli (cultura di Piano Quartara), dell’età del bronzo e dell’età ellenistica, come dimostrano i ritrovamenti archeologici. Dell’antica città, oltre alle stratificazioni preistoriche, rimangono i resti ellenistici, le chiese, l’antico palazzo dei vescovi adiacente la Cattedrale costruita da Ruggero il Normanno nel 1084 ma totalmente rifatta in età barocca, conserva della struttura originale le volte a crociera ogivale, pregevoli decorazioni e stucchi del sec. XVIII e dipinti di grande interesse artistico. Le chiese dell’Immacolata, con la sua liscia facciata a lesene scure, quella dell’Addolorata, di origine medievale ma con cupoletta cilindrica e facciata barocca e quella di S. Maria delle Grazie, con facciata settecentesca, hanno tutte pregevoli architetture. Tra le opere d’arte sono degni di rilievo un’Addolorata, che si trova nella chiesa dell’Addolorata, e altri dipinti di Girolamo Alibrandi.

Sono ben conservate le mura erette dagli Spagnoli nel secolo XVI, le imponenti fortificazioni cinquecentesche che si ergono a Sud e inglobano precedenti fortificazioni del secolo XIII, con torri a difesa piombanti e una torre, elemento delle mura greche, la quale presenta ancora 23 filari isodomi di blocchi squadrati. Da questa porta-torre e da un passaggio con volte ogivali si accede dalla civita all’ampia zona del Castello. All’inizio del nostro secolo uno squarcio praticato nelle mura ha interrotto le fortificazioni spagnole (distruggendo così parte delle vestigia preistoriche e classiche), per creare un accesso diretto dalla via Garibaldi alla Cattedrale.

La necropoli greca di Lipari si estende nella pianura di Diana frà il vallone Ponte e il vallone di Santa Lucia a Nord. In questa contrada essa si sovrappone a un vasto insediamento preistorico fiorito dalla fine del neolitico medio alla prima età del bronzo, ma nel quale la massima intensità di vita si è avuta nel neolitico superiore, in quella fase culturale cioè che in tutta l’Italia è oggi designata con il nome di “cultura di Diana”. La necropoli classica è una delle più ricche della Sicilia. In quest’ultimo trentennio scavi sistematici hanno recuperato i corredi di oltre 1750 tombe, ora esposti nel Museo Eoliano. Le più antiche risalgono al VI sec. a.C., ai decenni successivi alla fondazione della Lipara greca, e presentano ceramiche corinzie, attiche a vernice nera e di altre fabbriche della Grecia. Particolarmente ricche le tombe del V del IV e degli inizi del Ill secolo a.C. a inumazione con sarcofago di terracotta, di mattoni crudi o di pietra oppure a cremazione, in alcune delle quali sono stati rinvenuti grandi crateri e altri vasi figurati o policromi del “Pittore di Lipari” e vasi decorati nello stile Gnathia. Più povere e quasi sempre a cappuccina di tegole sono le tombe dell’avanzato ellenismo, successive alla distruzione del 251 a.C. Le tombe di età romana (I sec. a.C. – Il sec. d.C.) sono ricche di bronzi, di vetri, di lucerne figurate. Nell’area della necropoli e precisamente agli inizi della rotabile per Piano Conte, nei pressi del plesso scolastico, sono due grandi ipogei funerari di età imperiale romana (Il sec. d.C.) e almeno un altro analogo è nel terreno della mensa vescovile dove sono anche resti di altri monumenti funerari più tardi (IV-V sec. d.C.). La necropoli si estendeva al di fuori dell’area urbana della città antica, la quale non superava di molto l’estensione di quella attuale, come dimostra la recente scoperta delle mura urbiche del IV sec. a.C.

Nella Chiesetta di S. Nicola, oltre Portinenti, si osserva un architrave costituito da un frammento architettonico di età classica. Ivi è venuto alla luce uno ipogeo simile a quelli scoperti a Diana. A Piano Conte, esteso pianoro disseminato di case coloniche, sono state trovate stazioni preistoriche (ceramica, accette levigate ecc.), della tarda età neolitica e delle prime fasi dell’età dei metalli. Presso le Terme di S. Calogero, si vedevano, nel XVIII secolo, i resti di edifici romani. Nella località denominata la Bruca, sono stati rinvenuti vasi, ciotole e figure fittili dell’evo greco. Antiche ceramiche sono state scoperte nella zona chiamata Palmeto. Tra i prodotti litoidi dell’isola, la pomice è l’unico materiale ancora sfruttato, dopo l’abbandono del giacimento di caolino di Bagnosecco. È un prodotto vulcanico dei magmi acidi e la sua massa è molto bollosa e leggera. Nel Neolitico, intorno al 4000 a.C., le prime popolazioni che si insediarono nell’isola iniziarono lo sfruttamento e il commercio di un prodotto allora molto richiesto: l’ossidiana. Trattasi di un vetro d’origine vulcanica duro e fragile, che si può scheggiare come la selce, usato nel neolitico nell’industria litica umana; ha la stessa composizione chimica della pomice e si differenzia da questa per la struttura e i caratteri macroscopici, quali colore, peso specifico, ecc. Le popolazioni che si stabilirono in località Castellaro Vecchio utilizzarono l’ossidiana del Pomiciazzo, una colata preistorica poi ricoperta dalle pomici eruttate dal Monte Pelato. Queste genti lavorarono per secoli l’ossidiana esportandola in tutto il bacino del Mediterraneo. L’attività mineraria e il commercio entrarono in crisi dopo il grande progresso della metallotecnica agli inizi del secondo millennio a.C. I giacimenti di pomice, dell’isola, si estendono, lungo ia costa orientale e settentrionale, frà i centri di Canneto e Acquacalda, per complessivi 8,4 Kmq (più del 22% della superficie totale dell’isola); costituiscono inoltre la maggior parte del Monte Pelato (m 476), del Monte Chirica (m 602), della Forgia Vecchia e in minor misura del Monte Sant’Angelo (m 594).

I crateri della Forgia Vecchia e del Monte Pelato hanno eruttato anche colate di ossidiana; quella delle Rocche Rosse, eruttata dal Monte Pelato, dopo avere superato la barriera dello strato delle pomici, si è riversata sulla costa formando un piccolo promontorio, punta Castagna. La pomice di Campobianco si ritiene sia stata emessa dal cratere del Monte Pelato; le sue varie eruzioni avrebbero ricoperto anche il Monte Chirica. I giacimenti di pomice maggiormente sfruttati sono quelli di Campobianco e del Monte Chirica; la lavorazione avviene negli stabilimenti di Porticello dove si ottengono vari tipi di pomice in pezzi e in polvere per uso commerciale.